Mario Cresci - L’oro del tempo

Anno Acquisizione:
2019
Soggetto prevalente:
Ritratto
Settore:
Fotografia contemporanea
Estremi cronologici:
2019
Consistenza accertata:
22

Il lavoro di Mario Cresci è il risultato del programma “ICCD/Artisti in residenza” che prevede ogni anno il coinvolgimento di uno o più autori - noti o emergenti -, chiamati a interagire con le straordinarie raccolte fotografiche storiche che l’Istituto conserva.
Cresci, artista residente per il 2019, è stato invitato ad esplorare le collezioni in piena libertà, lasciandosi guidare dalla pure seduzione delle immagini che incontrava aprendo i cassetti della fototeca e dei depositi. Dopo una prima fase esplorativa la sua attenzione si è concentrata su due nuclei: il fondo del fotografo Mario Nunes Vais, ritrattista del bel mondo tra Ottocento e Novecento, e una serie di fotografie di busti marmorei di età romana.
“Entrare nel grande archivio dell’ICCD è stata la prima ed emozionante sorpresa. Mi è sempre piaciuto utilizzare con attenzione le opere storiche di altri fotografi, motivato dal bisogno di conoscere ed entrare dentro le cose, dentro le immagini e ciò che esse mi comunicano a livello percettivo e cognitivo e in particolar modo ho sempre cercato di capire i percorsi ideati che precedono l’opera sulla base di una forte curiosità nella ricerca dei valori nelle opere degli altri.
Non avevo in mente nessun tema o argomento particolare da ricercare se non quello di lasciare aperte tutte le possibilità dovute a un felice incontro tra me e le antiche fotografie che mi passavano negli occhi a centinaia una dopo l’altra come un fiume in piena. Mi rendevo conto dell’importanza del grande archivio romano in cui mi trovavo e del suo immenso deposito di vite e di memorie  che appariva in minima parte al mio sguardo mentre si delineava l’idea di una scelta orientata alla raccolta delle foto dell’archivio di Nunes Vais (Firenze, 16 giugno 1856 – Firenze, 27 gennaio 1932). La seconda scelta è stata quella dell’umano visto in alcune sculture di epoca romana alle radici della rappresentazione della figura scolpita dal mondo greco a quello romano in cui il concetto di copia era per la cultura di Roma un grande motivo di conoscenza”.
Attorno a questi soggetti, Cresci ha messo in atto la sua inarrestabile vocazione alla sperimentazione visiva, operando slittamenti, sfocature, sovrapposizioni, moltiplicazioni di segni, generando nuove dimensioni percettive: “Ho dovuto guardare più volte la stessa fotografia prima di decidere le scelte  formali senza correre il rischio di trasformare la stessa in un’altra immagine lontana dalla sua identità originale. Ho impiegato molte ore per stabilire la natura del mio intervento per ridurre al minimo la pesantezza dei segni e delle forme inclusive che entravano nelle fotografie… Segni e forme ricavati dalla stessa immagine che diventano altro, altri significati che si svolgono nello spazio della fotografia di base come se questa fosse la fonte di tante altre immagini, altrettanto interessanti nella loro trasformazione geometrica”.

Bibliografia
Segni migranti, storie grafica e fotografia, edizioni Postcart, Roma 2019.

Residenza in ICCD

Biografia
Mario Cresci (Chiavari, 1942) è una delle figure cardine nella storia della fotografia italiana, soprattutto grazie al talento critico e all’approccio sperimentale con cui ha saputo rinnovare il linguaggio fotografico, senza però mai tralasciare l’indagine del reale.
Dal 1969 – anno della presentazione di Environnement, la prima istallazione fotografica realizzata in Europa presso la galleria Il Diaframma – Cresci ha sviluppato un discorso che privilegia l’indagine critica e autoriflessiva del linguaggio fotografico. A spese di continue “verifiche”, la sperimentazione di Cresci è mossa dalla curiosità di indagare le ambiguità dei processi visivi e di ogni esperienza percettiva.
La particolarità della sua figura di “operatore visivo” – fotografo, artista, critico, visual designer – sta nella concezione del linguaggio fotografico, inteso come strumento per indagare la realtà, più che per produrre immagini fine a sé stesse.
In tutto il suo lavoro appare evidente come pur concependo la fotografia come un procedimento creativo che trova in sé le sue giustificazioni, Cresci non trascura di misurarsi con il quotidiano, collocando la sua ricerca tra il pensato e il vissuto, tra l’arte e la vita.
Radicato negli studi multidisciplinari iniziati a Venezia nel 1963, la sua ricerca  si connota in senso concettuale quando si trasferisce a Roma nel ‘69, anche grazie all’incontro con i protagonisti dell’arte povera: Pino Pascali, Eliseo Mattiacci, Yannis Kounellis e Alighiero Boetti.
Partecipa al tumultuoso fermento culturale di quegli anni attivando sul territorio operazioni di carattere interdisciplinare, ridefinendo in questa militanza il ruolo dell’artista nella sua dimensione etica e sociale.
Nel 1970 viene invitato alla Biennale di Venezia. Sarà poi invitato nuovamente  nel 1978, 1993 e 1995.
Negli anni ’70 si trasferisce a Matera dove ibrida lo studio del linguaggio e la cultura del progetto con l’interesse per l’antropologia culturale, realizzando opere ed eventi significativi per quegli anni, tra cui la pubblicazione Matera, immagini e documenti (1975), primo lavoro fotografico sulla cultura antropologica urbana del Mezzogiorno italiano.
Dagli anni ’80, quando in Italia si assiste a un generale ripensamento del paesaggio e della sua immagine stereotipata, Cresci si misura  con questa nuova impostazione e, invitato da Luigi Ghirri al progetto Viaggio in Italia del 1984, contribuisce in modo sostanziale alla ridefinizione del ruolo della fotografia in questo processo, diventando uno dei protagonisti della  cosiddetta “scuola italiana di paesaggio”.
Attraverso il suo lavoro Cresci non ha mai smesso di interrogarsi sui temi più attuali, agendo da protagonista nei passaggi più significativi della fotografia in Italia.